Dr.ssa Francesca Massara

Psicologa Psicoterapeuta, iscritta all'Ordine degli Psicologi del Lazio (nr. iscrizione 5573), effettua consulenze psicologiche e percorsi di psicoterapia a Roma.

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Diagnosi psichiatrica e diagnosi psicologica: ottiche e metodologie a confronto

Di Francesca Massara - Psicologa Psicoterapeuta - Roma

Articolo pubblicato nella rivista Integrazione nelle psicoterapie - Edizioni scientifice A.S.P.I.C. - Anno 2013 numero 3

Che cos'è la psicodiagnosi

Il tema della "psicodiagnosi" ci mette di fronte ad alcuni punti fondamentali che riguardano direttamente la nostra professione, di psicologi e psicoterapeuti, cioè come sia più opportuno ed efficace redigere una diagnosi psicologica.
Il nostro codice deontologico, istituito in seguito alla Legge 56 del 18-02-1989, stabilisce che "la professione di psicologo comprende l'uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità (...), consente quindi allo psicologo laureato in psicologia, abilitato all'esercizio della professione mediante esame di stato e iscritto nell'apposito albo professionale, di effettuare la cosiddetta psicodiagnosi (diagnosi psicologica e psicopatologica)".

Il termine "diagnosi" proviene dal greco "dià" (attraverso) e "gnosis" (conoscenza) ed ha una connotazione prettamente medica; infatti è un procedimento conoscitivo che, attraverso l'individuazione di una serie di segni e sintomi, mira al rilevamento di un determinato quadro patologico, quindi è molto centrato sul rapporto sano/patologico.

Specificatamente al campo psichiatrico, il tema della diagnosi nasce con la psichiatria moderna, tra la fine dell''800 e l'inizio del '900 (POSITIVISMO), in cui i disturbi mentali venivano considerati delle vere e proprie malattie del cervello.
Il massimo esponente dell'epoca fu EMIL KRAEPELIN (1855-1926), cui si deve la nascita della PSICHIATRIA DESCRITTIVA, secondo cui le patologie mentali si riferivano a complessi di sintomi, o sindromi, da cui era possibile risalire alle cause; per es. sotto il nome di DEMENTIA PRAECOX venivano raggruppati tutti i sintomi schizofrenici (Kreapelin, 1896).

Un altro grande esponente della psichiatria dell'epoca fu EUGEN BLEULER (1857-1939), il quale continuò gli studi di Kreapelin sulla schizofrenia, dandone un'altra impostazione, che mirava ad uscire dalla sistematizzazione descrittiva per entrare in un'ottica più "dinamica", in cui la patologia veniva considerata più nella modalità del "cosa succede"; Bleuler parlava degli sc hizofrenici come di persone che "provano emozioni forti", oltre alla confusione mentale e alla perdita di cnnoessioni logiche del cervello.

Come possiamo notare, la psicoanalisi, madre di tutti gli approcci psicoterapeutici, muove i suoi primi passi su questo terreno; FREUD (1856 - 1939) è contemporaneo ai suoi illustri colleghi e ne è chiaramente influenzato. Troviamo in lui, inizialmente, il tentativo di rappresentare l'apparato psichico in termini meccanici, energetici, quantificabili, così come l'esigenza scientifica/positivista del tempo richiedeva (INCONSCIO-PRECONSCIO-CONSCIO); il passo successivo lo porterà ad una descrizione più dinamica (ES-IO-SUPER IO), che mira a relazionare le istanze della persona, quindi bisogni, desideri, istinti, con ciò che guida il comportamento, in virtù di regole personali e sociali.

Notiamo già in questi albori come, in campo psicodiagnostico, possiamo collocarci in due ambiti che mostrano differenze abbastanza sostanziali riguardo alla visione del paziente e alla sua sintomatologia, nonchè alle possibilità di intervento e di ripresa del suo funzionamento psicofisico:

  • da un lato la DIAGNOSI PSICHIATRICA, kraepeliniana, alla quale fa riferimento ancora oggi la psichiatria contemporanea e la cui massima espressione si ha con la stesura del DSM III prima e successivamente del DSM IV e revisioni successive (attualmente è in via di ultimazione la V edizione). Essa è ateoretica, descrittiva, categoriale; non dà indicazioni sul trattamento e mira essenzialmente alla rilevazione dei sintomi e all'individuazione di un determinato disturbo, inserendolo eventualmente in un determinato contesto socio-culturale;
  • dall'altro la DIAGNOSI PSICOLOGICA, che mira a superare la distinzione netta tra malato e patologico, evidenziando le parti sane e le risorse del soggetto in questione. E' meno categoriale e l'obiettivo è quello di studiare il funzionamento psichico di un soggetto, tenendo presenti una serie di fattori che mostrano flessibilità. E' sensibile ai cambiamenti cui va incontro il soggetto e funzionale alla comprensione del "senso soggettivo", pur mantenendo la sua stabilità e la sua attendibilità. E' multidimensionale, ossia tiene conto di molteplici dimensioni psichiche, consce e inconsce, esplicite e implicite, sane e patologiche del soggetto. Inoltre è connessa alla formulazione del caso e all'elaborazione di un piano di trattamento.

Gli strumenti della diagnosi psicologica

Scrive Freud in "Introduzione alla psicoanalisi" (1915-1917):
"Noi non vogliamo semplicemente descrivere e classificare i fenomeni, ma concepirli come indizi di un gioco di forze che si svolge nella psciche, come espressione di tendenze orientate verso un fine che operano insieme o l'una contro l'altra. Ci&ogravE; che ci soferziamo di raggiungere è una concezione dinamica dei fenomeni psichici" (in Nancy McWilliams, 1999).

A tal proposito sottolineo come, mentre in medicina per addivenire ad una buona diagnosi ci si avvale di tutta una serie di strumenti clinici che rendono il sintomo facilmente oggettivabile e condivisibile (un'analisi del sangua dà risultati che sono "scritti", "visibili", "reali"); in campo psicodiagnostico la situazione è più complessa, in quanto la diagnosi dipende da fattori che variano e che sono ascrivibili sia al soggetto esaminato che a variabili esterne, prima fra tutte la personalità dell'esaminatore.

Determinante ai fini di una buona diagnosi è l'anamnesi (termine anche'esso di matrice medica), ovvero "...la raccolta, dalla voce diretta del paziente e/o dei suoi familiari (per esempio i genitori nel caso di un lattante o di un bambino), di tutte quelle informazioni, notizie e sensazioni che possono aiutare il medico a indirizzarsi verso una diagnosi. Insieme all'esame obiettivo del malato, è di fondamentale ausilio nella formulazione della diagnosi, poichè ricostruisce le modalità di insorgenza il decorso della patologia in atto, investigando inoltre sulle possibili inclinazioni genetiche (predisposizione alle malattie genetiche) del gruppo familiare verso l'insorgenza di determinati tipi di malattie (anamnesi familiare). In questo senso è anche utilizzata per l'avvio di programmi di sorveglianza per i soggetti a rischio. E' noto tra i medici il detto: Anamnesi, mezza diagnosi" (tratto da wikipedia, l'enciclopedia libera, sotto la voce Anamnesi).

Senza dubbio, in un'ottica psichiatrica e soprattutto in un'ottica psicologica, il colloquio clinico è lo strumento elettivo per trarre informazioni finalizzate alla formulazione di una buona diagnosi e utilizzabili in senso operativo. Oltre al colloquio, nel campo psicodiagnostico l'uso dei test psicologici (cognitivi, grafici, proiettivi, di personalità) avvalora ancora di più l'obiettività della diagnosi; inoltre il trst è uno strumento che può essere utilizzato come monitorante le fasi di avvio del lavoro clinico, così come quelle intermedie e quelle successive alla chiusura (follow-up). Chiaramente l'uso dei test pone come condizione necessaria che gli operatori acquisiscano, oltre alle competenze tecniche e strumentali, delle competenze relazionali; i test non vanno mai somministrati in maniera fredda e distaccata, ma nell'ambito di un costrutto di alleanza terapeutica in cui fungono da strumento relazionale e non solamente formale. Allo stesso modo la restituzione del risultato va sempre contestualizzata e riferita alle caratteristiche di quel "particolare paziente", in quella "particolare relazione".

Questo atteggiamento clinico, in cui viene definitivamente bandita la "neutralità" dell'operatore, ha portato notevoli modifiche nel rapporto con il paziente; di conseguenza la diagnosi psichiatrica e quella psicologica, pur avendo degli aspetti in comune, mostrano delle sostanziali differenze, che il pensiero di Gabbard (1999) può aiutarci a comprendere:

  • Un colloquio psichiatrico classico mira principalmente al rilevamento di una relazione diretta tra i sintomi e le cause, senza soffermarsi troppo su come ciò si verifichi, quindi senza badare troppo alle variabili processuali.
  • La diagnosi precede sempre la terapia; viceversa in un'ottica psicodinamica non c'è distinzione tra diagnosi e terapia, in quanto queste sono reciprocamente legate e influenzate.
  • L'atteggiamento del paziente è tendenzialmente passivo; la posizione dinamica invece considera il paziente artefice del proprio destino e del proprio ruolo nella relazione terapeutica, ovvero di collaboratore.
  • La tendenza classica è di andare alla ricerca di quei sintomi che possano inserire il paziente in una specifica categoria diagnostica, per cui la raccolta delle informazioni diviene mirata e limitata; viceversa in un'ottica psicodinamica la fonte delle informazioni proveniente dal paziente è un continuo e inesauribile insieme di dati da utilizzare nel processo terapeutico.
  • Infine, mentre nell'orientamento classico il medico tende a rimuovere i suoi vissuti personali, che possono emergere nella relazione, in un'ottica psicodinamica questi sono utilizzabili ai fini diagnostici e terapeutici (utilizzo del transfert e controtransfert).

Senza ombra di dubbio la posizione di Gobbard si orienta verso una visione operatore - paziente "in movimento", in cui l'immobilità delle posizioni è bandita dalla relazione che assume, altresì, un valore diagnostico e terapeutico.

Visione critica e prospettive

In conclusione, possiamo evincere che, quando ci troviamo di fronte a quelle manifestazioni umane che hanno una caratterizzazione prevalentemente psichica, quali possono essere attitudini comportamentali, motivazioni, desideri, emozioni, affetti, ci imbattiamo in una serie di variabili la cui rilevazione e` molto più complessa di una qualsiasi manifestazione fisiologica, inerente al funzionamento organico. Se il fegato svolge la sua funzione in un determinato modo, e ciò è uguale per tutti, la psiche ha sfaccettature uniche per ogni individuo.

Ciò pone innanzitutto la questione del come stabilire una "normalità" e una "anormalità" di riferimento, al fine di poter inserire un soggetto in una condizione di disagio o di patologia o, viceversa, di assenza di segnali di allarme. La psicoanalisi, e le psicoterapie in generale, in qualche maniera hanno dato una risposta a questo quesito, parlando di un continuum tra sano e patologico; la situazione è più complessa per tutti quei casi in cui la gravità delle manifestazioni affonda le sue radici necessariamente in una patologia.

Io personalmente credo che sia possibile definire una "anormalità" del funzionamento psichico, e quindi una "normalità", dipendenti da variabili personali, biologiche, familiari, sociali, etiche, esistenziali; credo che il "matto" esista e che alcune patologie debbano essere affrontate con molta competenza e utilizzando tutti gli strumenti provenienti dai vari ambiti disciplinari. In alcuni casi di schizofrenia, personalità borderline, disturbi gravi dell'umore, forse dobbiamo porci come obiettivo più il contenimento e il riadattamento della persona, al fine di garantirle un'opportunità di vita il più possibile decorosa, piuttosto che un risanamento completo e una definitiva remissione dei sintomi. Ritengo che, in questi casi, la diagnosi sia fondamentale, anche e soprattutto per non creare false illusioni nel soggetto e nei familiari; e che sia fondamentale per gli operatori, in quanto mettersi nella posizione del "io ti salverò" è pericoloso e improduttivo. E' auspicabile che la diagnosi venga fatta in maniera congiunta e in equipe, quindi medici psichiatri e psicologi psicoterapeuti devono unire al massimo le loro forze per un lavoro produttivo e realistico. E' necessario superare alcune posizioni di antagonismo e di sfida che ancora resistono tra professionisti medici e psicologi, in cui soprattutto in campo istituzionale e anche nell'immaginario collettivo (purtroppo!), il medico viene vissuto come l'esperto e lo psicologo come una figura complementare, aggiuntiva. In realtà la complementarietà c'è e va intesa nella peculiarità degli interventi e nell'unione degli stessi, in modo da istituire una forza unica efficace ed efficiente.

Sono favorevole alle diagnosi psichiatriche classiche, quelle descrittive e categoriali, anzi talvolta le ritengo facilitanti il lavoro terapeutico, oltre che capaci di mettere ordine in situazioni di caos. Nello stesso tempo, questo tipo di diagnosi non è sufficiente se è semplicemente fine a se stessa; infatti l'obiettivo non è quello di restringere il campo per semplificare il lavoro, bensì per evidenziarne la complessità e, se la diagnosi categoriale ci può aiutare, ben venga. Al contempo è importante metterci nella sempre nella posizione del "significato" del sintomo, del suo messaggio sontinteso, cioè in una prospettiva di metacomunicazione. Mi riferisco all'importanza della visione dinamica della sintomatologia, sia in senso intrapsichico che in relazione all'altro, quindi in un gioco delle parti.

Io sono fermamente convinta che il disagio umano, in tutte le sue manifestazioni, possa essere affrontato in modo incrociato, sia a livello medico che psicologico, in particolare per le patologie in cui e` evidente una maggiore invasività della sintomatologia e una maggiore destrutturazione della personalità. Il mio auspicio è che noi psicologi e psicoterapeuti non ricadiamo in posizioni di antagonismo e di sfida nei confronti dei nostri colleghi medici e psichiatri, così come, soprattutto nel passato, si tendeva ad attribuire credito e potere a certi professionisti piuttosto che ad altri, assegnando alla psicologia un ruolo marginale.

Nella mia esperienza clinica e professionale, ho riscontrato che alcuni colleghi sono convinti che le malattie psichiche gravi si possano affrontare e curare con i soli strumenti psicologici, così come alcuni medici, purtroppo sempre più quelli di base, adottano misure farmacologiche per disagi di chiara competenza psicologica, come ansia generalizzata, insoddisfazioni personali, inflessioni dell'umore, paure, ecc. In alcuni di questi casi è evidente l'ostinazione, talora non pienamente consapevole, di voler permanere in posizioni di idealizzazione narcisistica, assolutamente deleteria per chi si affida a noi, confidando nelle nostre competenze e nella nostra buona fede.

Credo che una buona formazione, sia tecnica che psicologica, possa garantire il superamento di queste rigidità, al fine di non giungere mai a sfiorare l'abuso delle competenze e del potere.

Non dobbiamo mai dimenticare che il nostro obiettivo primario è il bene della persona e quindi la ricerca della misura di intervento più idonea alla sua realizzazione.

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